
Ripercussione psicologiche negative delle cattive abitudini alimentari.
Fin dai tempi più antichi al cibo è stato dato un ruolo centrale, basti pensare a quanti eventi sociali siano ad esso collegati; ma il cibo viene utilizzato anche per placare le emozioni che non si riescono a tollerare, spesso si mangia per noia, rabbia, solitudine, ansia e tristezza. A tal riguardo ricordiamo che il sistema digestivo produce diversi tipi di ormoni e peptidi che influenzano i processi con cui ci alimentiamo e con cui ricaviamo energia dal cibo. Quattro di questi si sono rivelati essere importanti anche nell’influenzare le emozioni e i processi cognitivi:
- leptina (intervenire nella depressione e nelle difficoltà dell’apprendimento spaziale);
- grelina (prodotta dallo stomaco quando siamo a digiuno, ha anch’essa a che fare con l’apprendimento spaziale e con la formazione della memoria);
- GLP1 (regola la produzione di insulina e l’uso di zuccheri da parte del muscolo, svolge un ruolo importante nell’integrazione dei processi che influenzano sia la cognizione che le emozioni);
- insulina (ormone ben noto, è implicata nei disordini psichiatrici e nei segnali periferici che modulano i processi mentali).
Ecco quindi che si delinea un primo schema di influenza tra cibo e cervello: quando mangiamo, a prescindere da cosa mangiamo, il nostro corpo produce degli ormoni che hanno un effetto primario sul sistema digestivo, ma che agiscono anche a livello del sistema nervoso centrale.
Se poi analizzassimo il periodo del primo lockdown, emergerebbe come il problema abbia raggiunto casistiche gravi soprattutto fra chi già soffriva di disturbi alimentari, secondo una ricerca della Fondazione Adi dell’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica, nel 54% dei casi è stato registrato un aumento medio di peso di ben 4 chilogrammi. In questi soggetti era inevitabile pensare continuamente al cibo, mangiare di più durante i pasti principali e spizzicare tutto il giorno, peggiorando lo stato di sovrappeso ed inducendo a possibili ulteriori complicanze, precisamente diabete di tipo 2 o malattie cardiovascolari che sono, peraltro, patologie croniche. L’obesità è una malattia altamente disabilitante e rappresenta un importante fattore di rischio e di mortalità, la gratificazione che si ricava dal cibo spesso si riferisce a motivazioni emotive compensatorie che sfuggono alla consapevolezza del soggetto. Il rischio di obesità non ha risparmiato neanche bambini ed adolescenti, duramente provati dall’isolamento forzato:l’obesità in età infantile e adolescenziale è particolarmente delicata in quanto tende a lasciare una traccia nel tempo che dura fino all’età adulta.
Cosa possiamo consigliare dunque alle famiglie per fronteggiare questa fragilità?
- Innanzi tutto dedicarsi ad una attività fisica e sportiva così da contrastare la sedentarietà, e favorire lo svago, il divertimento e la socializzazione.
- La ripresa di interessi ed hobby dentro e fuori casa, indispensabili per il proprio equilibrio psichicofisico ed emozionale.
- L’adozione di comportamenti alimentari sani, oggi più che mai fondamentali, informandosi dettagliatamente sui rischi della cattiva alimentazione e su come questa incida nello stato psichico ed emotivo, oltre che fisico e di salute, di ogni individuo.
© Copyright |Psicologa | Dott.ssa Claudia Marrosu